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LUNEDI’ 26 AGOSTO

Oggi siamo andati a visitare il Masai Mara.

IL FATTO DEL GIORNO – Il Masai Mara è uno dei più grandi parchi naturali del Kenya e contiene una varietà impressionante di animali allo stato brado. Ciascuno di noi ha trovato il suo preferito, dall’elegante giraffa al buffo facocero, dai maestosi elefanti, che abbiamo visto giocare con un cucciolo, ai ghepardi, rarissimi da avvistare ed incontrati oggi per la prima volta a differenza che nelle precedenti esperienze missionarie, da un leone solitario e sonnacchioso sino al branco delle 15 leonesse, che nel momento in cui le abbiamo finalmente avvistate si stavano svegliando, forse pronte per andare a caccia (Francesco si è offerto di fare da preda per una spettacolare sequenza fotografica, ma Serena si è opposta, con disappunto di Renato). E poi, ancora, zebre, antilopi e tanti altri animali. Verso le 11:30 abbiamo fatto un pic-nic con gli ippopotami. Miriam, appena entrati nel parco, per l’emozione ha stretto la mano di Isabella quando ha visto per la prima volta una giraffa dal vivo, Isabella stessa nel corso della giornata avrebbe voluto scendere dall’automobile ed abbracciare gli animali ad uno ad uno, Francesco si sentiva catapultato dentro il film “Il Re Leone”; quanta emozione per tutti noi a trascorrere una intera giornata qui, dall’alba sino allo spettacolare tramonto. Non si può non rimanere colpiti dall’immensità di questi spazi, in cui gli animali vivono liberi, e non pensare a come debbano sentirsi quanti, fra i loro simili, vivano rinchiusi in zoo e circhi. A noi stessi fa malinconia il pensiero di dover tornare a vivere negli spazi chiusi delle nostre città, fra soli pochi giorni. Ai limiti del parco abbiamo anche visto camminare i masai, da soli o portando al pascolo i loro animali; le abitazioni di questa tribù sono recintate per proteggersi dagli animali. La savana ha colori bellissimi, il giallo dei prati, il verde degli alberi sparuti e solitari, l’azzurro dei cieli, colori che sembrano davvero essere stati presi da un dipinto. Quanta fantasia deve avere Dio per creare un paesaggio così!

 

MARTEDI' 27 AGOSTO

Ultimo giorno a Siongiroi.

ultima alba 

FRAMMENTI D’AFRICA - Alla ricerca della foresta: trovare solo arbusti e piccole piante anziché gli alberi d’alto fusto di amazzonica memoria. Essere felici, comunque, nell’incontrare l’altro volto di Siongiroi, donne e bambini al lavoro nei campi, attimi di quotidianità.

Partecipare al funerale della figlia del consigliere e percepire che qui la morte è accolta diversamente. La nascita è “alba”, la morte è “tramonto”, non c’è vera tristezza ma speranza di una vita migliore nell’al di là, in cui ci si ritroverà un giorno.

A casa di Matthew sentirsi come a casa di un amico che già ci conosce bene.

Nelle capanne del villaggio, salutando i bambini e le famiglie. Separazione ed emozione.

Fare le valigie e scoprirle vuote delle cose che abbiamo portato e che lasceremo qua, e piene dei regali che abbiamo ricevuto.

Il sorriso dei bambini quando alla sera sono entrati a casa nostra ed abbiamo distribuito i regali che avevamo comprato o portato per loro, vestiti e peluches.

Ballare, mangiare, semplicemente stare seduti mischiati alle persone che hanno lavorato per noi in questo mese, senza che nessuno servisse nessuno.

Ritrovare Gianni ed Alberto, gli amici con cui avevamo iniziato il viaggio, e Don Richard. Consapevolezza e nostalgia di essere arrivati all’ultima pagina di questa avventura africana, domani si parte.

tramonto

 

MERCOLEDI’ 28 AGOSTO

Da Siongiroi a Nairobi, destinazione aeroporto. Tre ricordi in breve: uno brutto, dover saltare la tappa di Nakuru (souvenir e mercato nella città dei fenicotteri) a causa della lentezza del pullman che ha viaggiato un po’ troppo “pole pole”; uno buffo, Miriam che in pausa pranzo in un resort si entusiasma per il primo toast al prosciutto dopo un mese; due belli, andare a svegliare i bambini all’alba nelle loro capanne per salutarli ancora una volta e distribuire gli ultimi regali; più tardi, incontrare per strada bambini, come Peste Kidogu, non incontrati in questi ultimi giorni e venuti apposta a cercarci per darci l’ultimo saluto, ed accompagnarci sino alla partenza.

 

IL SENSO DI UN’ESPERIENZA MISSIONARIA

Una volta tornati a casa, la domanda che spesso viene rivolta a chi ha partecipato ad un’esperienza missionaria è: “Che cosa siete andati a fare?” E la risposta di solito è un semplice elenco: “Siamo andati a giocare con i bambini africani, ad insegnare l’italiano nelle loro classi, a documentare la realtà in cui essi vivono…” A questo punto l’interlocutore di solito ti interrompe guardandoti perplesso e ti chiede: “Sì, ma in concreto che cosa siete andati a fare?”

La verità è che il senso di un’esperienza missionaria è innanzi tutto qualcosa di personale, e non esiste una risposta univoca valida per tutti. Per qualcuno è una sensazione, per qualcun altro un’immagine od un ricordo. Non serve altro per sentirsi diversi “prima” e “dopo”. Questo, sì, è comune un po’ per tutti: il sentirsi diversi “prima” e “dopo” avere vissuto un’esperienza così. Se non ci si sente “diversi”, vuol dire che si è fatto “turismo” e non “un’esperienza missionaria”. Forse il senso di questo tipo di esperienza è innanzi tutto accettare di lavorare su se stessi e sul proprio modo di guardare il mondo, per poi trarne le conseguenze che ne derivano. Può sembrare una  risposta, una “scelta”, banale, ma in verità quanti fra noi vivono le proprie giornate con questo atteggiamento?

Cristina: “Ciò che mi porto dietro è la sensazione di sintonia. Sintonia fra il paesaggio africano, che donava pace interiore, e la semplicità delle persone, che parlavano sottovoce. E poi il loro modo di esprimersi: quando cantano, ti entrano nel cuore; quando ti incontrano, ti danno il benvenuto; quando ti osservano, ti notano in silenzio. È questo che mi ha colpito di più: la contrapposizione fra forte serenità e forti emozioni”.

Francesco: “Il sorriso. Dei bambini, degli adulti. Sorridono sempre, in particolare nel momento dell’incontro. Provate ad osservare le persone attorno a voi in Italia: quante sorridono? In Africa c’è un’empatia tale che non serve una lingua comune per comunicare, bastano i gesti ed il sorriso.”

Matteo: “E’ stato bello vivere all’interno del villaggio ed incontrare una cultura diversa, che segue regole diverse dalle nostre. In futuro potrebbe essere interessante andare ad abitare nelle singole capanne, per conoscere davvero dall’interno il loro modo di vivere.”

Sara: “L’idea della comunità. Vivono molto “insieme”: dal fare festa allo stringersi l’un l’altro durante il funerale, all’aiutarsi a vicenda, è tangibile il loro essere comunità; si sono aperti a noi e quindi siamo diventati parte della comunità; l’immensità del paesaggio ricorda l’immensità nel senso dell’ospitalità, c’è posto per tutti. Anche nella scuola: i bambini nelle classi ci facevano sedere vicini, ci abbracciavano. Non può essere artefatto tutto ciò, deve essere il loro modo di essere. Insieme.”

Luisa: “A me resterà dentro la loro semplicità, soprattutto se penso ai più poveri, ai bambini del villaggio che non hanno nulla ma sono sempre felici, non si lamentano, e condividono quel poco che hanno.”

Sonia: “Io ero già a stata a Siongiroi nel 2011. Il ricordo particolare che mi porto dietro quest’anno è che abbiamo trascorso molto più tempo con i bambini del villaggio, oltre  che con quelli della scuola. Abbiamo legato di più, e questo mi è piaciuto molto. E poi mi sorprende la forza che hanno questi bambini, sia fisica (basti pensare al fatto che portano il fratellino in braccio), sia caratteriale: in pratica si crescono da soli.”

Renato: “Anche per me è stato un ritorno. È stato bello come l’altra volta, però non essendoci state vere novità mi è parso che il tempo passasse più in fretta; forse mi è mancato il gusto dell’esplorazione, questo sì, ma è stata comunque un’esperienza positiva, mi sono sentito come se fossi tornato in una casa che conoscevo già, ed in cui ero ben accolto. E poi mi è piaciuto accompagnare altre persone e vedere il loro stupore, le loro reazioni, di fronte alla realtà africana. Come se i loro occhi fossero i miei occhi.”

Suor Jola “Mdogo”: “Io sono molto contenta che, al momento della condivisione serale, talora siano state notate e discusse alcune contraddizioni nel loro modo di vivere, perché così abbiamo messo in discussione noi stessi. E così secondo me è stato anche per loro: ad esempio, durante la cena dell’ultima sera, all’inizio Janet e Margareth, e lo stesso Matthew, se ne stavano in disparte, attendendo di mangiare per ultimi, poi hanno accettato che il senso della serata fosse stare tutti insieme, senza che nessuno servisse nessuno, ed ho visto qualcosa di diverso nel loro sguardo.”

Serena: “Il rispetto della persona, anche fra bambini piccoli verso i bambini ancora più piccoli: si aiutano, si portano in spalle a vicenda, se qualcuno perde una scarpa gliela infilano, si tolgono le spine a vicenda…”

Silvia: “Io inizio già a sentire la nostalgia. Mi piace ricordare una frase di Padre Christopher, che nel salutarci ha detto: “Adesso voi tornate a casa ma nessuno vi ha detto che dovete tornare a casa, nessuno vi ha invitato ad andare in Italia; lo stesso deve essere per questa casa, tornate quando volete, non è necessario essere invitati”. Per me è così, io sento già il bisogno di tornare a Siongiroi, è come se lì avessi trovato il mio posto giusto.”

Miriam: “Da questa esperienza mi porto indietro tanto, ho dato tanto ma ho ricevuto tanto ed è davvero come se nelle persone di Siongiroi avessi trovato una seconda famiglia. Durante il viaggio di ritorno mi sembrava che il tempo fosse un po’ sospeso, guardavo fuori dal finestrino sapendo che erano le ultime ore d’Africa, ed era come se volessi imprimermi nel cuore quelle immagini.”

Isabella: “Desidero condividere ciò che sento più che ciò che penso, e cioè: gratitudine, felicità, amore e nostalgia. Gratitudine: sono grata a Dio che mi ha donato la vita ed agli incontri in Kenya che me l’hanno arricchita; felicità: per quanto ho donato e quanto ho ricevuto, mille colori, mille sorrisi, e per avere trascorso un mese senza orologio, quasi senza pensieri, “hakuna matata”; amore: è la sensazione che più ho vissuto, servizio umile, tollerante, generoso, accogliente, che spero di portarmi a casa e che duri il più possibile; nostalgia per questa vita semplice, dignitosa ed essenziale, per questa fede profonda, cantata e vissuta, e per questa terra che da sempre ho sognato, desiderato ed amato e che ora è un po’ casa mia.”

Paolo: “Devo ancora elaborare questa esperienza, guardarla da un altro punto di vista per capirla meglio; in questo momento sono molto entusiasta, e non me l’aspettavo. Ho vissuto un mese senza sovrastrutture, in armonia con quanto accadeva nella giornata a prescindere dai programmi; mi sono adattato alle circostanze, e questo mi ha stupito. È stato bello, e molto.”

Suor Jola “Mtakatifu”: “Per me è stata la quinta esperienza missionaria, la seconda a Siongiroi. Sono molto contenta del gruppo di quest’anno, tutti hanno saputo affrontare questo viaggio nel modo giusto, non una vacanza ma qualcosa di più, l’incontro di due chiese gemelle. Inserirsi nel cammino di un’altra cultura è stare insieme nel bene e nel male, la missione non è solo divertimento ma anche fatica, si sta insieme sia nella gioia sia nel dolore. Basti pensare al primo giorno, vissuto sulle ceneri del dormitorio bruciato da poco, o all’ultimo, vissuto partecipando ad un funerale.”

14 persone, 14 risposte differenti alla domanda “Che cosa ti porti dietro?”

Ecco che cosa siamo andati a fare in Africa. Ad incontrare ed a vivere un’altra cultura, per crescere. Insieme.

 

IL SALUTO DI PADRE CHRISTOPHER – Vorrei ringraziare prima di tutto il Signore che ci ha aiutato con i nostri amici venuti dall’Italia per fare il lavoro missionario nella nostra parrocchia. Ringrazio tutti gli amici italiani venuti a Siongiroi, per come hanno svolto il loro lavoro in mezzo a noi e per la loro disponibilità. Tante attività hanno coinvolto i bambini della scuola, quelli del villaggio, i fedeli e gli abitanti della Comunità, che sono rimasti tutti molto contenti. Pazienza, umiltà, senso di collaborazione, nel loro comportamento ho trovato testimonianza di fede cristiana e capacità di portare avanti un progetto spirituale ed accademico. Insieme abbiamo formato un’unica famiglia. Dico grazie a ciascuno di loro, in particolare a Suor Jola che ha voluto portare a Siongiroi un nuovo gruppo di amici italiani, che hanno potuto usare come base l’esperienza missionaria del 2011 per vivere al meglio anche questa nuova esperienza. In seguito al passaggio dei nostri amici italiani, alcuni protestanti mi hanno chiesto di poter tornare all’interno della chiesa cattolica. Anche il vescovo e gli altri sacerdoti della nostra diocesi sono rimasti contenti per questo mese di amicizia e di collaborazione fra Italia e Kenya, e sperano che in futuro possa tornare a rinnovarsi. In conclusione, vi auguro una vita felice e prego Dio per voi, con un pensiero particolare per Suor Jola “Mtakatifu”, che possa vivere una felice nuova esperienza nel posto in cui sarà mandata a dare testimonianza cristiana dopo la parrocchia di Nichelino. Un caro saluto a tutti voi, spero che tornerete a trovarci presto. “Karibuni Tena” (“Benvenuti ancora”). Padre Christopher Rotich.

 

mani unite

 

All’esperienza missionaria in Kenya hanno partecipato:

                      • Cristina “Chepchiroi” Bianco, l’infermiera che corre al sorgere del sole
                      • Francesco “Kepniano” Cirronis, l’animatore africano
                      • Isabella Bornengo “Mama Chepkemoi”, prof ma non troppo
                      • Luisa “Cherono” Caraci, l’amica degli elefanti
                      • Matteo “Kiplangat” Scapolan, tecnico multimediale
                      • Miriam “Chepkoech” Bornengo, la studentessa fuori sede
                      • Paolo Bornengo “Baba Chepkoech”, il leone di Siongiroi
                      • Renato “Kiplangat” Amatteis, che ha scritto il diario
                      • Sara “Chepmieno” Costantino, nome di battaglia “Giraffe”
                      • Serena “Chepkoech” Caraci, l’infermiera da pronto soccorso
                      • Silvia “Chepkemoi” Bornengo, ballerina di danze tribali
                      • Sonia “Cellangah” Caraci, la voce sorridente della savana
                      • Suor Jola “Chepkoech” Plominska (“Mtakatifu”), l’amica dell’amaca
                      • Suor Jola “Chepkoech” Skorupa (“Mdogo”), colei che si incontra all’alba 

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