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Non è tempo di andare, ma è tempo di vivere...

SettembreOttobre - Novembre - Dicembre

 SETTEMBRE 2015  

Non è tempo di andare, ma è tempo di vivere (18/09/2015)

Dopo 4 anni e un mese sono tornata a Siongiroi in modo diverso, con occhi diversi ma con un cuore che desiderava ardentemente ritornare qui. Scrivere un diario di viaggio non era tra i compiti che volevo assolvere perché le emozioni vissute con grande intensità vanno raccontate a distanza di tempo dopo averle maturate con cura. Ma questo non è il viaggio di una missionaria per caso, questo è un anno da vivere a stretto contatto con una realtà completamente nuova e diversa da ciò che conosciamo. E così ho deciso che settimanalmente regalerò a lettori curiosi e, chissà, a qualche nostalgico viaggiatore, un po' dell'Africa che mi troverò a vivere. 

 

 OTTOBRE 2015  

Pellegrinaggio a Nakuru (04/10/2015)

Son già trascorsi 16 giorni dall'arrivo mio e di Marianna in questo piccolo villaggio, ma non ho la percezione che sia passato tutto questo tempo. Il tempo... un concetto molto relativo da queste parti, e a tal proposito voglio raccontarvi del nostro pellegrinaggio a Nakuru. Concordiamo con Nduega, il nostro adorabile cuoco, che saremmo dovuti partire sabato alle 2.30 di notte. La sera andiamo a letto presto anche se il sonno fatica ad arrivare e puntiamo le sveglie esattamente alle 2. Improvvisamente sento dei colpi fortissimi alla porta, mi alzo con occhi ancora semichiusi e apro... sull'uscio una signora che mi blatera qualcosa, comprendo solo che andrà a chiamare Nduega che esattamente trenta minuti dopo viene a ripetere il rito della sveglia battendo prima alla porta e poi con molta decisione alla finestra. È l'1.20 di notte, ci alziamo senza capire esattamente perché quell'anticipo. Quando usciamo di casa fuori ad aspettarci ci sono Miriam la cuoca della scuola, Cheronno sua figlia, Faith la signora che aveva sbagliato i tempi della sveglia, un tale di nome William ed il simpaticissimo Nduega che ci accompagna fino all'uscio. Con gli altri raggiungiamo la scuola per la stessa strada che percorriamo tutti i giorni, ma così buia da farmi inciampare nel fango ad ogni passo tra le risa della piccola Cheronno che senza dinamo sembra vederci benissimo. Il pulmino è fermo a scuola e ci saltiamo su, inconsapevoli del viaggio, spiazzati da tutti quei pellegrini che arrivano con bidoni enormi vuoti che capiremo solo arrivati lì a cosa saranno serviti. Ci fermiamo varie volte per recuperare in strada qualche passeggero e dopo una preghiera di buon auspicio ecco che iniziano canti per lo più mariani e sono solo le 4 del mattino! Sopraggiunge l'alba mentre io e Marianna cerchiamo di recuperare sonno sbattendo ovunque mentre la radio suona non curandosi dei decibel! Raggiungiamo Nakuru 6 ore dopo, un viaggio infinito per arrivare su un monte dove si celebrerà il congresso cattolico nazionale del Kenya, ci incolonniamo per i controlli e il signore che osserva il mio zaino per poco non mi levava un dente! Tra il caldo soffocante, spintoni gratuiti, polvere che s'infila ovunque, raggiungiamo l'ampio spiazzale dove centinaia di persone dalla pelle nera ascolteranno la messa in un rispettoso e sovraumano silenzio. Alle 14.30 circa è tutto finito e ritorniamo al pulmino certi di fare rientro a casa per la cena. Arriviamo solo alle 2 di notte a Siongiroi, con lo stomaco rinvigorito da un black tea e un chapati calorosamente offerti da Pauline. Nel buio ritorniamo a casa col cielo stellato a far da soffitto ed una pallida mezza luna che ci riporta timidamente ed in silenzio indietro, in un tempo diverso da quello previsto ma nel tempo giusto per vivere un istante che non ritornerà domani.

  

God bless you (10/10/2015)

Non sognatevi di visitare il Kenya senza partecipare ad una messa! Io e Marianna in tre giorni di messe ne abbiamo ascoltate ben sei!!! Ma dimenticatevi le celebrazioni a cui siete abituati in Italia, in Kenya si usano 4 lingue diverse in una sola funzione, si canta, si balla, si vive con gioia la parola di Dio. 

In Kenya le chiese, non cattedrali ma semplici costruzioni in cemento e mattoni con il tetto in lamiera e le finestre, dove ci sono pareti, senza vetri per lo più, sono sempre molto affollate e si respira polvere che si alza da tanti piedi che si muovono su un pavimento che è tutt'altro che lucidato! E poi nel bel mezzo della celebrazione senti un odore di bruciato riempir le narici e ti chiedi cosa si saranno dimenticati sul fuoco, ma e' solo il prete con il suo incensiere che mi ricorda un po' il braciere che i nostri nonni utilizzavano per riscaldarsi... 

Sin dai primi giorni del nostro arrivo a Siongiroi, ci siamo recate con Christopher nelle parrocchie circostanti per celebrare delle messe in cui venivano benedetti gli studenti che dovranno sostenere gli esami. E' stata una funzione nuova per me, tante persone provenienti anche da molto lontano sono venuti a partecipare ad una messa in cui il futuro, l'esito degli esami di questi ragazzi, viene affidato a Dio. Ho detto futuro proprio perché in base al punteggio che otterranno sceglieranno poi l'università nella quale dovranno andare. Diversamente, se l'esame non verrà superato, ritorneranno a casa o andranno in qualche scuola meno qualificante, ci ha spiegato Christopher. 

Prima della benedizione finale tutti gli studenti, in divisa e con un segno identificativo, in alcune scuole rappresentato da una fascia, in altre da una coccarda sulla camicia e in altre ancora da una ghirlanda al collo che mi ha ricordato tanto quelle che noi utilizziamo per addobbare l'albero a natale, raggiungono l'altare e si inginocchiano per ricevere la benedizione e tutti ma proprio tutti… un'intera comunità si stringe intorno a loro ed intona un canto accompagnandolo col gesto delle mani che si chiudono e si aprono verso quei ragazzi per dire “Dio vi benedica”. Vengono benedetti anche gli strumenti del loro lavoro, matite, penne e quaderni. Si percepisce un'aria di comunione in tutto questo che mi piace paragonare ad un abbraccio grandissimo che viene dato da un genitore ad un figlio per rassicurarlo prima di un importante passo. E' magica quest'atmosfera perché immaginate di essere contemporaneamente abbracciati da cento persone insieme... a tratti soffochereste! Ma chiudete gli occhi e ricordatevi un momento importante della vostra vita o anche solo il giorno precedente la maturità, se aveste ricevuto questo abbraccio caloroso, se foste stati affidati con così tanta speranza nelle mani di Dio... la notte sarebbe passata con una serenità diversa, il cuore avrebbe avuto un amore tale da permettervi di compiere quel passo con minore fatica... 

Questo riesce a regalare l'Africa, una magia, una percezione delle cose da prospettive che forse prima nella nostra quotidianità non avevamo considerato neanche. E mentre in queste strade cammino con gli occhi spalancati per cercare di non perdere niente, mi accorgo che la razionalità pian piano mi abbandona per lasciare spazio a risposte le cui domande non sono più quelle con cui ero partita... 

 

Odori, sapori e colori presto si mescolano già (17/10/2015) 

Sono le 6 del mattino, gli occhi si schiudono, intorno è ancora buio ma fatico a richiuderli e mi alzo. Vado nel salottino della nostra casa e ancora in pigiama apro la porta che dà sul retro per osservare l'alba. C’è uno specchio di cielo di fronte ai miei occhi con le capanne che si intravedono al di là della recinzione, con i camini già fumanti per preparare un chai caldo probabilmente, mentre alberi alti e con chiome insolite incorniciano un cielo rosso che si mescola ad un celeste lieve che compare mentre il buio si dirada. Un gallo canta in lontananza, forse lo stesso che per colpa del fuso a volte annuncia l'alba alle 3!

Il sole sorge su Siongiroi, il villaggio si sveglia, si parte... la giornata inizia!!! E inizia con questo gioco di colori che mi ricorda un foglio bianco ed una scatola con tanti pennarelli che in mano ad un qualunque bimbo diventa un quadro con mille sfumature, che regala a chi lo osserva una straordinaria magia. E' colorata anche la mia colazione, italianizzata da un coffee accompagnato da pane e marmellata. La prima ricarica di energia a cui spesso ne seguiranno altre, molte altre! Ogni safari è infatti contraddistinto da tappe in parrocchie circostanti dove gustare un chai, un'omelette o dei mandazi che non servono solo a rinvigorire i muscoli ed equilibrare lo stomaco dopo essere appena scesi dalle montagne russe... ma servono soprattutto a condividere un momento in cui sentirsi parte di una comunità. Il cibo qui è comunione, condivisione, è il modo più semplice ed ospitale per dirti... you feel at home. E a casa ti senti davvero perché anche Christopher fa di tutto per far in modo che il distacco dalla propria quotidianità non sia brutale e compra la pasta al supermercato che poi il formidabile Nduega tenta di cucinare nel miglior modo possibile dimenticandola in pentola forse qualche mezz'ora in più. Ma poco importa perché ci ripaga abbondantemente con piatti colorati e saporiti che mi sembra ogni sera di essere ritornata a casa... se non fosse per la portata unica in cui tutto si mescola, il piatto sulle gambe e l'odore, l’odore forte di una terra che ormai sento mio, un odore che sarà difficile lavare via anche dopo il lungo ritorno a quel posto che da qui oggi sembra sempre più lontano.

You feel at home also far from your home... 

E' bello sentirselo dire, mentre ci viene offerto un piatto di abbondante riso con patate e carne, in una piccola stanza che fa da ufficio per gli insegnanti della scuola. E' il loro modo di accogliere offrire il pranzo, è il loro modo di aiutarci a sentirci parte di una famiglia più grande. L'ospite è sacro all'interno di questa cultura e far sentire uno straniero in una terra amica è il più bel modo di dirgli sei il benvenuto, welcome, karibu, come un rituale perenne sono vocaboli che si ripetono anche tante volte in una giornata sola. E così quando chiedi loro un aiuto o una cortesia e poi li ringrazi, loro ti rispondono welcome come per dirti domani noi siamo ancora qui. 

E domani ti ritrovi ancora a camminare in una terra che regala ogni giorno un colore diverso, ti ritrovi a socchiudere gli occhi e a respirare il profumo di un'aria che annuncia la pioggia che poi cade improvvisa e ti costringe a correre per ripararti prima di somigliare ad un pulcino infreddolito, con il fango sotto le scarpe e le mani tra le mani dei bambini che non colgono le tue parole ma incrociano gli sguardi ed i sorrisi ed arrivano, direttamente al cuore... 

 

Da quel 2011 ormai lontano (25/10/2015) 

Sono trascorsi quattro anni dal primo viaggio in Kenya che mi ha portata a Siongiroi. Il 2011 è ormai distante e la realtà qui nel villaggio non è come la ricordavo. Nella piccola città - così amano chiamarla gli abitanti - ai bordi delle strade si osservano più negozietti e case, costruzioni in cemento volute dal governo che rendono ancor più paradossale questa realtà. Tanti piki piki che sfrecciano non curandosi di mantenere la sinistra, in una strada malconcia senza asfalto, con sassi che se non appoggi il piede in maniera corretta senti entrare fino alla pianta. Una mini città che si è ravvivata, popolata, accesa, che è diventata più rumorosa da quel 2011 ormai lontano. Ma Siongiroi è diversa anche per i bambini che non si stupiscono più alla vista dei bianchi. La visita in una scuola, una Primary vicino al fiume, ha accentuato ancora di più questa differenza. Quei bambini al nostro arrivo si sono fiondati su di noi con gli occhi spalancati, le mani protese a toccare ogni parte del nostro corpo, i sorrisi accesi sulle labbra e sugli occhi. L'affetto a tratti sfinisce, tutti ti abbracciano, tutti vogliono toccarti, tutti ti guardano come se fossi un alieno appena sceso sulla terra. A Siongiroi non è più così, i muzungu sono ormai diventati degli alieni a metà. I bambini esprimono comunque la loro gioia e la loro felicità nell'averti accanto, ma non sono più straniti quando ti guardano, non toccano continuamente le tue braccia e i tuoi capelli come se fossi ricoperto di miele dolce che attira. Nelle loro domande ora c’è consapevolezza ma non stupore né curiosità. Li senti sussurrare tra di loro qualcosa come se si confrontassero sulle risposte che qualche altro bianco già passato di lì gli ha dato. 

Ed i bambini del villaggio... corrono ad abbracciarti con le braccia spalancate e ti dicono non più Jambo ma ciao, il tuo ciao, il ciao di italiani che passati da qui tante volte hanno lasciato un segno, un'impronta forte, il loro odore che a quello di questi abitanti dalla pelle nera si è mescolato. Ma non si è fuso, né amalgamato e forse non accadrà mai, lo si comprende nelle loro richieste, lo si recepisce nel loro osservarti sempre di più come un essere umano da cui prendere, da cui attingere, da cui succhiare una linfa che sa sempre meno di conoscenza e sempre più di materialità, forse perché i viaggiatori dalla pelle bianca si soffermano più a fare che ad osservare, più a parlare che a tacere, più ad agire che a riflettere. Ed in queste strade che mutano con la pioggia incessante che cade e repentinamente le trasforma, mi chiedo se in questo posto mai qualcosa davvero cambierà, mi chiedo se ci sarà un domani in cui il sole si ergerà in alto in cielo per tramontare e ricadere il giorno dopo su un mondo che avrà la luce della semplicità negli occhi così come la ricordavo. Io che in quel 2011 ormai lontano mi sono innamorata, mi sono abbandonata a questa terra ed ho lasciato che il mio cuore corresse veloce incontro ad una strada così lunga dove un giorno promisi sarei tornata a riprendermelo. Io che qui, per le strade di Siongiroi ho ritrovato la pace, ho placato quell'incessante malessere che mi accompagnava nel caos dei giorni che si susseguivano tutti uguali e vuoti. Qui ho compreso il valore dell'essere umano cogliendone la sua profondità come mai avevo fatto prima. L'Africa mi ha aiutata a capire che osservare gli altri dall'involucro che li ricopre non basta, che è necessario abbattere i muri, spingersi al di là e soffermarsi... chiudendo gli occhi e spalancando il cuore. Questa era la Siongiroi che volevo, questa era la terra che cercavo, un posto dove la semplicità era viva e l'essenziale visibile senza spazio per il superfluo.


 

NOVEMBRE 2015 

Rafiki yangu! (02/11/2015) 

La realtà è proporzionale al posto in cui si vive. Quando si passa da una dimensione ad un'altra si subisce inizialmente un impatto dovuto ad una necessità di riadattamento che per l'uomo è pressoché immediata. E così, dopo iniziali giorni di caos, e confusione generale nella mente ma soprattutto negli occhi che ruotano e si spalancano di fronte ad una diversità così accentuata, pian piano tutto diventa normale, lo sguardo si abitua a ciò che prima sembrava un miraggio. 

 

Mercoledì 28 abbiamo lasciato il villaggio di Siongiroi per raggiungere Nairobi, una rafiki molto gradita ha soggiornato con noi in questo mese rendendo più solari le mie giornate. Sonia l'ho conosciuta ad Agosto 2011, ricordo quel giorno in cui arrivavo all'aeroporto di Torino Caselle smarrita e ignara dei volti dei miei compagni di viaggio, c'era anche lei ad accogliermi. Di lei mi colpì subito il sorriso, contagioso, luminoso, capace di riscaldarti il cuore in un solo istante. Un sorriso che non è una risata perché di ridere siamo capaci tutti, di sorridere sono in grado pochi. Di statura molto simile alla mia questo l'unico motivo per cui tanti a Siongiroi mi hanno chiesto se lei fosse mia sorella, africani dall'occhio molto fine direi, Sonia si porta come me nel cuore un viaggio che ci ha segnate per sempre. E dopo 4 anni rivivere un po' dell'Africa che ci ha unite mi ha fatto riflettere sull'importanza di costruire legami, mi ha riportata indietro, ha fatto riaffiorare ricordi e mi ha fatto emozionare scoprire che questa piccola donna di grande virtu' conserva a casa da quel 2011 una foto in cui ci sono anch'io. Ma si sa tutti gli arrivi sono accompagnati da partenze che anche se dolorose ma celate perché le lacrime sono per i deboli e qui bisogna imparare ad essere forti, sono necessarie... 

A Nairobi abbiamo dormito due notti, il viaggio che separa Siongiroi dalla capitale è lungo e particolarmente difficile. Christopher è molto abile alla guida ma imparando a conoscerlo sempre un po' di più inizio a comprendere che il traffico e le strade sono le due cose che lo stancano maggiormente. E' curioso spesso il suo comportamento, è un africano in pantaloni e camicia che ama farti aspettare ma odia attendere e non vuole ripetersi anche se spesso crede di avere un monitor sulla fronte che fa leggere i suoi pensieri! 

Dopo ben 8 ore di viaggio con qualche sosta per sgranchirsi le gambe e alimentare lo stomaco e un ultimo tratto di strada dove fast & furios ti fanno un baffo, siamo arrivati dalle suore, stanchi, stremati, con la testa che ruotava come fossi appena scesa da una giostra. Il giorno dopo siamo andati all'ufficio immigrazioni per estendere il visto. Sappiate, se vi passasse per la testa di permanere più a lungo in Kenya, che il visto turistico ha validità tre mesi estendibile per altri tre finiti i quali, calcio in culo e via nuovamente in Italia. All'ufficio immigrazioni di Nairobi mi sentivo una straniera senza patria che saltava da uno sportello all'altro senza capire perfettamente cosa stesse accadendo. Ero sorpresa dalle procedure che scorrevano piuttosto velocemente rispetto ai tempi dilatati dei kenioti e ad un certo punto quando tutto sembrava essere dannatamente normale un flash mi riportò alla realtà. Un flash, si proprio quello! Allo sportello numero 3 ci dissero che le nostre fototessere non erano idonee per continuare la procedura e bisognava rifarle, ci invitarono ad uscire fuori e a cercare un posto. Ci recammo dove qualche ora prima avevamo fatto delle fotocopie, ma nessuna indicazione che facessero foto tessere e così abbiamo chiesto al signore che lavorava lì che ha fatto una telefonata e ha chiesto di aspettare. Dopo qualche minuto è arrivato un ragazzo che ci ha invitate a seguirlo. Ci ha portate in un posto dove ad una panchina delle persone aspettavano e dopo questa un signore seduto comodamente su una poltrona, come quelle che si trovano dal barbiere ma sul marciapiede di una strada, leggeva il giornale mentre un tipo lucidava con cura le sue scarpe. Con lo sguardo smarrito poco coscienti di ciò che stava per accadere vediamo un altro ragazzo con una polaroid in mano raggiungerci mentre l'altro quello che ci aveva accompagnate stende un lenzuolo bianco dietro le nostre spalle e flash... dopo pochi minuti ritorna con le nostre foto tessere in bustina, con le nostre facce sconvolte e non soltanto sulla carta! 

O l'Africa che quando pensi di aver visto tutto ti accorgi che non è mai abbastanza, che quando credi che il momento di andare è arrivato ti ritrovi ad aspettare... aspettare... 

Ed io aspetto e nel frattempo vivo come se fossi ovattata in una realtà nuova con i pensieri sempre più sfocati e distanti, chiusa in un bozzolo come una larva che attende il giorno giusto per distendere le sue ali e volare.  

 

Conoscerete la povertà (09/11/2015)  

Ho desiderato tanto ritornare in Africa ed il servizio civile è stato quell'occasione da tempo cercata. Sono qui per una ragione diversa da un'esperienza missionaria, ma sono pur sempre una volontaria in servizio civile, una biologa che potrebbe occuparsi di acqua. E qui in questa nuova pagina del mio diario proprio di acqua voglio parlarvi. Questo liquido così prezioso che ogni mattina aprendo i rubinetti delle nostre case ci scorre tra le mani per rinfrescarci il viso e per dare inizio alla giornata. La componente del 70% circa del nostro corpo, la bevanda più economica che si possiede e senza contro indicazione alcuna. L'acqua è di mille sfaccettature diverse a Siongiroi. Viene raccolta quella piovana all'interno di cisterne e verrà utilizzata per bere e per cucinare. Dai rubinetti della nostra casa, non spesso e a volte di rado, fuoriesce l'acqua del fiume. Il suo colore è un misto tra il marroncino ed il giallo, con un odore che sa di terreno mescolato agli escrementi di asini e mucche, che al fiume vanno a dissetarsi e non solo... 

Al mattino mi sveglio con le prime luci dell'alba, intorno alle 6 - 6:30 circa. Nduega o quando lui non c’è Pauline riscaldano l'acqua piovana e ce la fanno trovare in delle taniche per poterci lavare. La utilizzo per lavarmi come meglio posso e poi se ne rimane lavo anche qualche vestito, per non sprecarla, per non buttarla via. Quando devo lavare i capelli ne faccio riscaldare un po' di più ma cercando sempre di non approfittare troppo. Pian piano, un po' per volta imparo ad utilizzarne sempre meno, imparo a convivere con l'essenziale. Nei giorni in cui Nduega non c'era sono stata in cucina con Pauline. Credevo che aiutarla a cucinare e prendere coscienza del diverso modo di preparare i cibi mi avrebbe fatto passare l'appetito, in realtà me l'ha aumentato soltanto!!! Anche qui un uso essenziale dell'acqua. Quella pulita deve bastare per cucinare i cibi e per lavare le stoviglie. L'ho aiutata a farlo e voglio descrivervi come in Africa si lavano i piatti. Si utilizzano le saponette, quelle che noi utilizzeremmo per lavarci le mani, poi le spugne sono pezzi di stracci. Prima s'insaponano, poi con l'acqua piovana ed aiutandosi con un bicchiere di latta si risciacquano. L'acqua deve bastare per risciacquarle tutte. Mentre strofinavo quelle posate, quei piatti e quei bicchieri, mi ritornava in mente quando ad Agosto 2011 avevo visto Peter (il nostro cuoco allora, oggi cuoco della Secondary nella Holy Family Parish) armeggiare con le stoviglie dentro una pozza d'acqua sporca. Mi sono chiesta quanto sono fortunata nonostante Limbadi (il mio paese di circa 3000 abitanti) non navighi nell'acqua, ad avere quel rubinetto a casa cosi rumoroso da cui l'acqua scende incessantemente senza averne misura. 


L'acqua della pozza naturale che si trova a scuola è colorata, spesso di marrone, a volte ricoperta di una patina verde con numerosissime rane all'interno. Quell'acqua viene raccolta ogni giorno, finche' la pioggia lo concederà, dai bambini della scuola che con essa si lavano e lavano i propri vestiti. 


Un'acqua sporca mescolata agli escrementi, alla terra polverosa ed arida di Siongiroi, alle rane che lì si fanno allegramente il bagno. Chiedetevi se voi mai la utilizzereste anche soltanto per scaricarla nel water della vostra casa. Chiedetevi se arrivati ad una pozza riuscireste ad immergervi scalzi e a raccogliere con un bidone quell'acqua per portarla con voi... Noi che non conosciamo questa fatica, noi che facciamo scorrere per vari minuti acqua a perdere dal rubinetto anche soltanto per lavare i denti. 

Acqua... che cade intensamente nelle giornate calde ed afose che si presentano al mattino, e dopo pranzo trasforma le strade aride e polverose in una fanghiglia scivolosa in cui non si cammina più. Abbiamo rare volte assaporato l'ebbrezza di viaggiare in auto con le strade infangate. Le sensazioni vi assicuro, sono simili a quelle di una scarica di adrenalina che attiva contemporaneamente tutti i vostri sensi! Guidare nel fango è complicato e difficile e nonostante Christopher sia molto abile nel farlo, non farsela un po' addosso dalla paura è pressoché impossibile. Lui cambia espressione quando guida in quelle strade, diventa silenzioso con i muscoli del viso tesi e gli occhi concentrati attentamente sulla strada che gli si para davanti. I miei si sono improvvisamente chiusi quando la macchina ha fatto un salto ed è atterrata, riaprendoli ho potuto vederlo, nella stessa posizione in cui era saltata! 

A Siongiroi non c’è acqua, quella piovana è provvidenza... 

A Siongiroi c'è acqua sporca, eppure non la si può rifiutare... 

A Siongiroi non ci sono strade e quel dono dal cielo le trasforma in fanghiglie che non esisterebbero se solo qui ci fosse l'asfalto... 

“Vedete la nostra povertà?” 

La povertà in due elementi che sono doni di natura, l'acqua e la terra che mescolati possono causare anche la morte, lungo le strade che esplodono come fiumi in piena e si allagano... ed attraverso una bevanda che se le nuvole si allontanano non disseta... una bevanda che è la stessa in cui l'uomo viene alla vita. 

 

Come una grande famiglia (14/11/2015)

La domenica è il giorno del Signore anche e soprattutto a Siongiroi. La celebrazione di una messa è un momento sacro qui, fondamentale, la fede è come una fune ben tesa a cui aggrapparsi per non scivolare giù. Domenica 8 Novembre siamo andati in una chiesa vicino a Siongiroi, per qualche istante ci siamo sentiti a casa perché eravamo dentro una struttura chiusa, con pareti intonacate e dipinte e soffitto ben fatto, se non fosse stato per le galline all'angolo vicino alla porta legate dalle zampe e per il colore della pelle dei fedeli seduti al nostro fianco, non ci saremmo accorti di trovarci in Africa. La comunità di questo posto è semplice, sorridente, con gli occhi pieni di speranza e profondamente umile, capace di pregare in silenzio ad occhi chiusi per ricevere una benedizione in qualunque istante. I miei di occhi faticano a chiudersi e mentre tento invano di captare il senso di quei suoni che diventano sempre più familiari, mi chiedo se al ritorno in Italia ricorderò come pregare nella mia lingua. 

Quella domenica nel pomeriggio dopo un fast lunch a casa, siamo andati a far visita a Vincent il fratello di Chris, uno dei fratelli!!! La sua famiglia è grande e nonostante le presentazioni ricordarli tutti è difficile. Vincent ha avuto un incidente, si è rotto la gamba e ha dovuto subire un intervento chirurgico di diverse ore. Quel pomeriggio a casa sua eravamo in tanti, parenti, amici erano venuti a fargli visita. Noi eravamo come sempre in ritardo! Dopo aver percorso 2 ore e mezza di macchina per una strada dove a tratti ti chiedi se non fosse meglio scendere e continuare a piedi, siamo arrivati dentro una stanza piena di gente a noi sconosciuta. Mi girava la testa e seduta sulla poltrona sono balzata in aria un attimo dopo per un rumore insolito, semplicemente un gattino che giocava... Poi hanno rotto il silenzio e iniziato a parlare a turno nella loro lingua, per ore. Li osservavo, mi soffermavo sui volti e prima ancora che le presentazioni venissero fatte, riconoscevo in quei tratti somatici le caratteristiche di Christopher. Mi sentivo sospesa in una bolla e non capivo esattamente quando sarebbe esplosa. Ma in un attimo ho socchiuso gli occhi e respirato e quando li ho riaperti ero a casa. La sensazione di smarrimento aveva lasciato il posto ad una dimensione nuova. Era come rivivere nel mio mondo la visita dei miei parenti per una ricorrenza, si condivide un dolore, una gioia, si è uniti come una grande famiglia. Tutto aveva acquistato naturalezza e complice anche Kaleb, un bambino di 4 anni bellissimo, il nipote di Chris, ero a mio agio, in un pomeriggio di domenica diventato normale... 

La settimana è stata ricca d'impegni lavorativi. Siamo qui principalmente per un progetto inerente all'acqua ed il nostro compito è quello di studiare e analizzare gli strumenti e le soluzioni già adottate sul territorio, per capire come migliorarle e come collaborare insieme. Abbiamo visitato diversi posti in cui utilizzano i Dams come metodo di raccolta dell'acqua. I Dams sono pozze scavate dall'uomo che servono a favorire il convogliamento, al loro interno, di una maggiore quantità di acqua piovana. La soluzione più idonea sarebbe la raccolta attraverso queste pozze, il convogliamento in una cisterna e la purificazione dell'acqua ed infine la distribuzione per l'utilizzo.  E' stato interessate notare come in un alcuni Dams fosse presente la canna di palude che serve a mantenere più pulita l'acqua e poi è stata per me molto interessante la visita alla stazione di Olbutyo dove si trovano le due pompe che prelevano l'acqua dal fiume, la depurano e la distribuiscono anche a Siongiroi. Lì ho osservato il sistema di purificazione dell'acqua che utilizza vari step con l'iniziale aggiunta di solfato di alluminio, la chiarificazione delle acque mediante il sistema delle vasche circolari ed infine l'aggiunta di cloro per la disinfezione. Il problema acqua è molto evidente nel territorio di Siongiroi, ma esistono gli strumenti tecnici per pensarlo in maniera efficiente, l'unico grande problema di questa realtà rimangono i fondi. 

Avrei voluto tante volte nella mia vita svegliarmi al mattino ed essere la figlia di un noto imprenditore, ma solo per poter disporre a piacimento del suo patrimonio!!! Il lunedì mattina svegliandomi a Siongiroi ho sentito quest'esigenza, e l'ho sentita soltanto perché l'impotenza a volte si fa strada dentro di me e mi ricorda che sono una comune mortale dotata di facoltà intellettive minime, sono una goccia dispersa in un oceano infinito. 


Lunedì dopo la mia colazione ed una doccia veloce, sono andata da Nicole. Lei era lì, come sempre, davanti alla sua piccola casa ed allora ho chiesto alla madre se potevo portarla per una passeggiata con me. E' inutile descrivervi la gioia di quella piccola bambina. Ha un anno e mezzo come Aurora la mia nipotina che mi manca tantissimo. Nel mio paese Chiara e Serena, le mie nipotine più grandi, le porto spesso a fare delle passeggiate e poi a mangiare il gelato o le patatine o quello che ci va. Qui, lunedì a passeggio ho portato Nicole. E poi le ho comprato il pane per lei e per la sua famiglia. Ho comprato anche dei paninetti dolci per i bambini del villaggio, ma sono tanti, tantissimi...ed allora tornando verso casa ed incontrando Aaron ed il fratello, siamo tornati indietro al market per comprarne altri. Vorrei soltanto descrivervi l’umiltà di questi bambini che mi hanno accompagnata in silenzio, aspettata fuori dal negozio senza chiedere nulla e prendendo il loro panino solo alla fine di tutta la strada e quando c'erano con noi tutti gli altri. Non è stato un gesto che ha potuto salvarli dalla fame che per una povertà evidente sono costretti a patire, è stato un piccolo gesto che gli ha strappato un sorriso ed un “thank you” risuonato come un eco alle mie spalle mentre con le lacrime agli occhi ritornavo a casa... 

 

Ricevere senza donare (23/11/2015) 

Scrivere diventa sempre più difficile. Le emozioni s'inscatolano nella mia testa e faticano ad uscire. I giorni si susseguono, il tempo è traditore, a volte accelera il passo ed altre volte lo ritarda così che alcuni istanti sembrano non finire mai. E la mente divaga e si rifugia e mi chiedo perché mi sono spinta così lontano. Mi guardo indietro e vedo la mia casa, i miei affetti, coloro che, salutandomi ormai due mesi fa, mi ricordarono che dieci mesi non sono nulla in un'intera vita. 

Mi piace camminare, immergermi nella natura che qui mi circonda ed andare fin dove le mie scarpe mi accompagneranno. Quasi sempre però il passo s'interrompe perché sopraggiungono da ogni angolo i bambini che popolano questo villaggio. Tra loro c’è Nicole Chepto una bambina bellissima che mi ha rubato il cuore. Casa sua è lungo la strada che percorriamo ogni giorno. Appena ci scorge ci corre incontro, ci sorride, salta la staccionata ed è in un'istante fra le nostre braccia. Nicole ha una sorella più piccola, Nikita, e vive con la mamma ed il papà in una piccola stanza. I suoi genitori sono giovanissimi, non hanno un lavoro, non hanno possedimenti, vivono in affitto. 


Sabato dopo pranzo nonostante la pioggia, ho deciso di andare a fare due passi. Nicole insieme alla madre che aveva avvolta nella fascia la piccola Nikita e ad un'amica sempre con una bambina piccola in spalla, erano per strada. Nicole non appena mi ha vista, da molto lontano, mi è corsa incontro spalancando le braccia. Li ho accompagnati in città pur non capendo bene dove stavamo andando, ma avevo in braccio Nicole che con i suoi stivaletti infangati ha colorato a strisce marroni i miei jeans! Mentre camminavamo lei indicava qualunque cosa vedesse e, in una lingua a me incomprensibile, a suo modo mi spiegava. Arrivati in città siamo entrati in un negozio d'abbigliamento, siamo andate sul retro e lì, in una piccolissima stanza, c'erano due divanetti, due signore ed una pentola sul fuoco. La stanza era semibuia, invasa dal fumo ma nonostante ciò riuscivo a giocare con Nicole che si guardava attorno senza lasciarsi sfuggire niente. Ad un certo punto la signora che cucinava mi porse un bicchiere con un cucchiaio, lo presi convinta di doverlo solo tenere. Mi stava offrendo del miele, mezzo bicchiere pieno! Naturalmente grazie a Nicole mi liberai di quegli zuccheri che in meno di un minuto si riversarono sui nostri vestiti...! Loro mangiarono il miele, cucchiai e cucchiai di miele, compresa la piccola Nikita, poi quando la verdura fu cotta, servirono anche quella. Avevo già pranzato ed in quel momento, anche per non approfittare di un pranzo a cui mi ero autoinvitata, nel totale imbarazzo sporca di fango e di miele, mi alzai e salutai, ringraziando per l’ospitalità. La cuoca mi accompagnò e prima di congedarmi mi regalò una sciarpa bianca appesa lì in negozio. La mise sul mio capo e rise, forse per la mia faccia buffa. Ringraziai ancora ed andai verso casa, prima che la pioggia mi sorprendesse di nuovo... 

Sapevo che scrivere sarebbe stato difficile e lo sapevo perché non ho mai controllato i miei pensieri che sono rimasti con me fino al momento in cui con insistenza ho dovuto liberarmene. Perché la gente scrive ve lo siete mai chiesto? Oggi esistono i social e facebook sembra come la finestra della propria stanza che spalanchiamo al mattino per far entrare la luce. Clicchiamo su quella icona per affacciarci al mondo virtuale che ci sta inglobando. Seguiamo le mode, gli hashtag, le foto profilo che cambiano e si modificano con la facilità con cui una bomba esplode. La gente scrive, commenta, clicca mi piace e punta il dito dietro la tastiera di un monitor da dove tutto sembra far meno paura. Io scrivo per liberarmi, per portare fuori quei pensieri che dopo essersi fermati mi chiedono di non lasciarli lì, dentro la mia testa dove soli sarebbero come mobili in disuso in una stanza chiusa...

Scrivo perché attraverso le mie parole voi riusciate a guardare un piccolo pezzo della realtà che vivo. Una realtà dove Dio sembra essersi fermato a lungo, ricordando alle sue creature l'equilibrio perfetto in cui le aveva collocate... qui dove la natura esplode, e gli uccelli non si stancano di cantare, qui dove un sorriso lo ricevi anche se tu non sei ancora pronto a donarlo... 

 

Siongiroi a Nairobi per la visita del Papa (30/11/2015) 

Se avete voglia di farvi un giro in Africa non dimenticate di portare con voi un fazzoletto in tasca, un igienizzante per le mani, ago e filo perché un buco da qualche parte spunterà ed infine una scatola di stuzzicadenti da offrire ad un rafiki che incontrerete e che non resisterà alla tentazione di infilarsi un dito in bocca per rimuovere qualcosa che è rimasto incastrato tra i denti. Per tutto il resto state sereni, in Africa non vi servirà. 

 

Erano le 4.00 del mattino quando siamo arrivati a Nairobi. Il pulmino con 50 persone dentro, 49 africane ed una muzungu (mimi), era stato puntuale. Ci abbiamo impiegato esattamente sei ore per arrivare nella città che da lì a breve avrebbe ospitato Papa Francesco. Pauline e Mary erano accanto a me. Avevo spesso chiuso gli occhi durante il viaggio anche se lo scuotimento costante e la vicinanza al finestrino contro cui sbattevo ripetutamente la testa non mi hanno granché aiutata a riposare bene. Pauline era pronta ad accogliermi con una tazza di chai e pane e burro che, data l'ora, avevo prontamente rifiutato. Mission impossible! Da buona sorella maggiore mi ha spiegato che la giornata sarebbe stata molto lunga. Ed infatti scesi dal pulmino e araka araka, anche per via della pioggia, ci siamo avviate con Mary ed abbiamo raggiunto la fila con centinaia di persone impazienti ad entrare nel campo in cui si è svolta la celebrazione. L'aria era particolarmente rarefatta e man mano che avanzavamo, come se passassimo dentro ad un imbuto, ci restringevamo e ci avvicinavamo sempre di più. Mi alzavo sulle punte per prendere un po’ di respiro, ma il fango che avevo sotto le scarpe mi portava a scivolare verso il basso come se mi trovassi nelle sabbie mobili. Ero dentro al mio corpo ma non lo controllavo perché non sentivo nessuna fatica, non sentivo la fame, né il bisogno, dopo che sono stata in piedi per circa 9 ore, di sedermi a riposare. Estremamente stretti gli uni agli altri, con una pioggia costante ed un equilibrio precario, compresso da un via via di persone che non curanti della presenza altrui, né delle proprie dimensioni, ti strattonavo, siamo arrivati all'interno del campo dove abbiamo aspettato pazientemente l'arrivo di Pope Francis. Centinaia di persone sono esplose in un grandissimo applauso ed in urla di gioia quando è finalmente arrivato e dalla sua papa-mobile ha salutato l'intera folla. È calato poi un singolare silenzio durante la solenne celebrazione, animata da canti gioiosi e da danze. Ed io ero lì, ero fra loro, tra quei cristiani dalla pelle nera ad ascoltare l'omelia di quell'uomo straordinario che un potere divino aveva scelto. Ero lì ad occhi chiusi ad ascoltare quell'uomo che parlava in una lingua che era proprio la mia. 

Quello che ci ha portato a Nairobi per la visita del Papa è stato un pellegrinaggio vero e proprio. Siamo partiti mercoledì in tarda serata e siamo rientrati a Siongiroi sabato sera. Abbiamo fatto tappa a Kajiado in una parrocchia dove ho conosciuto Padre Joseph, un prete giovanile, sorridente, di origine Masai e perfettamente in grado di comprendere e parlare l'italiano. Sabato, infine, siamo stati a Kericho per la messa del vescovo Okombo, che ho finalmente conosciuto! È stato un viaggio lungo e difficile ma mai come in quel momento, mi sono sentita a casa. Ero con loro ma non da Muzungu, da Daniela. Ero lì senza privilegi né riguardi nonostante la presenza di Christopher e mi sentivo integrata come se li conoscessi da sempre. 

E sì, piano piano imparo a conoscerli, li osservo, li ascolto parlare in una lingua che è così lontana dalla mia ma di cui riesco a capire sempre di più il senso. Non faccio più fatica ad uscire di casa alle 8.00 e far pranzo alle 16.00, ad ascoltarli parlare per ore ed ore in quei Congoi che si ripetono come un rituale costante. Ho lasciato cadere la barriera che mi separava da coloro che sono spesso in casa con me e che fanno di tutto per non farmi mancare nulla. Janet, Mary, Pauline e Nduega, William, Michael, Peter che sorridono delle mie espressioni buffe, del mio gesticolare accentuato e del mio inglese sgangherato; che mi sorreggono quando in quel fango divento sempre più incapace di camminare. Sono persone umili, premurose, che nutrono un profondo rispetto per quest'uomo di nome Christopher che a volte vuole essere compreso con un solo sguardo, quest'uomo che pensa velocemente e tanto, con tutti i muscoli del viso tesi nella preoccupazione che ogni cosa sia sempre ok. Quest'uomo che si rilassa di rado e che non sorride spesso ed i cui silenzi mi ricordano sempre di più i miei... quei silenzi che urlano la difficoltà di un “fare” che qui non è mai abbastanza.

 

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